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La Chiesa Cattolica e l’ecologia nella prossima Enciclica di Papa Francesco

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sfrncProduzione e consumi sostenibili, ambiente, energia, pace e giustizia sociale fanno parte di uno stesso scenario che coinvolge tutto il creato, spiega il Cardinale Peter Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, intervistato dalla rivista QualEnergia. Turkson è incaricato di coordinarne i lavori della nuova Enciclica sull’ambiente voluta da Papa Francesco.

Da tempo la Chiesa cattolica guarda con attenzione all’ambiente, ma le tematiche energetiche sono, per ora, rimaste sotto traccia. Alla vigilia della nuova Enciclica sull’ambiente voluta da Papa Francesco abbiamo intervistato il Cardinale Peter Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che è stato incaricato dal pontefice di coordinarne i lavori. Per la Chiesa l’energia non è marginale e deve essere incardinata in uno scenario più complessivo.

Da cosa nasce l’esigenza della Chiesa di occuparsi di energia?

L’interesse della Chiesa per l’energia non c’è perché la Chiesa sia esperta in tali argomenti, ma piuttosto perché, compiendo la vocazione dell’amore che Cristo ha lasciato alla Chiesa, essa si interessa alla «intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali essa vive; il mondo che è teatro della storia del genere umano» (Gaudium et spes, 2). Proprio durante il Concilio Vaticano II, i Padri Conciliari, volendo comprendere la presenza e la funzione della Chiesa nel mondo, ossia il teatro della storia umana che reca tutti «i segni degli sforzi dell’uomo, delle sue sconfitte e delle sue vittorie» (GS, 2), decisero di dare un’espressione eloquente della solidarietà e dell’affetto rispettoso per la famiglia umana entrando in dialogo con essa riguardo tutti i suoi problemi (cf. GS, 3). Papa Benedetto XVI ha risposto a questo appello approfondendo il dialogo fra fede e ragione, un dialogo che si applica facilmente fra la Dottrina sociale della Chiesa e l’energia. Un dialogo di grande attualità, vissuto molto spesso nel Pontificio Consiglio. In questi ultimi anni, pervengono al Pontificio Consiglio numerosi input concernenti le risorse energetiche o più generalmente l’energia nel quadro complesso dello sviluppo. Da parte di missionari preoccupati per l’inquinamento nel suolo di villaggi o campi dei loro Paesi di missione; alcuni di questi Paesi li ho visitati recentemente, come la Nigeria e il Sud Sudan. Da parte di dirigenti di multinazionali del petrolio o del settore minerario confrontate a determinate sfide sociali, economiche, politiche o ecologiche. Da parte di Conferenze episcopali testimoni di soprusi e violenze, di casi di violazioni di diritti, del conflitto con la politica di energia nucleare, del degrado ambientale o ancora del cattivo uso che certi Stati fanno delle loro risorse naturali o delle loro royalties. Da parte di associazioni, cattoliche e non, nazionali e a dimensione internazionale, che studiano l’impatto delle politiche commerciali concernenti l’energia sull’agricoltura, la natura, la finanza, sul tenore di vita dei più poveri. Da parte di università, gruppi di riflessione e centri di ricerca vari che studiano una determinata questione connessa all’energia o che si preparano a un qualche evento. Da parte di Governi e organizzazioni internazionali che dialogano con la Santa Sede, per esempio in vista della Conferenza di Rio+20 del 2012, di EXPO 2015, della COP XXI oppure della definizione dei prossimi obiettivi di sviluppo sostenibile. Da parte di singoli esperti in svariati settori. Insomma, una serie di “coincidenze”, se vogliamo chiamarle così: numerosi attori che dialogano col Pontificio Consiglio per condividere preoccupazioni, proporre progetti, chiedere consigli, cercare un orientamento da parte della Chiesa. La convinzione che l’energia e la sua gestione avranno importanti ripercussioni per tutti è d’attualità. In questo spirito, si è avvertita la pertinenza di offrire un contributo alla riflessione collettiva, cioè dare un’espressione eloquente della solidarietà da parte della Chiesa per la famiglia umana riguardante un tema cruciale: l’energia.

Giustizia, pace e sviluppo sono concetti che, quando parliamo d’energia, sono spesso in contrapposizione nei fatti. Qual è secondo la Chiesa la soluzione per fare sì che non siano più in conflitto?

Cambiare la visione dominante e adottare valide definizioni per ciascun concetto. Non ci si può preoccupare di uno sviluppo meramente economico, che consideri solo tassi di produzione e consumo: sarebbe un’ingiustizia riguardo a come viene impostata la società, a come viene percepita la persona umana. Non si può nemmeno cercare una pace che sia il soddisfacimento dell’immensa domanda di energia di una minoranza maggiormente progredita tecnologicamente ed economicamente, convincendo o forzando il resto dell’umanità a vivere in condizioni di povertà e scarsità energetica: questa non è pace. La vera pace è indivisibile. A questo punto, è utile considerare che Paolo VI ridefinì la pace in termini di sviluppo. Lo sviluppo, disse, è il nuovo nome della Pace (cf. Populorum Progressio,76). Papa Benedetto XVI ha identificato il vero sviluppo come essendo alla volta “integrale” e “umano”. La questione dell’energia per lo sviluppo integrale umano implica dunque una riflessione sulle forme di energia, il loro sviluppo, il loro accesso e la loro disponibilità, il loro costo e la loro sostenibilità. Allorché si definisce la relazione fra energia, giustizia, pace e sviluppo, è importante non limitarsi a quella definizione finanziaria di 2 dollari al giorno. È più accurato definire lo sviluppo integrale umano in termini di accesso all’educazione, alle cure mediche, ai mezzi di comunicazione, all’alloggio e al lavoro, all’energia. Ciò corrisponde ai diritti delle persone; ne costituisce un’esistenza dignitosa. La giustizia di un qualsiasi sistema di governance è dunque determinata dalla misura in cui tali elementi – incluso l’accesso all’energia – sono resi disponibili o meno alla popolazione.

Circa i cambiamenti climatici, come pensa che si possa coniugare il contenimento delle emissioni con le legittime aspirazioni dei Paesi in via di sviluppo?

La Chiesa indica punti di riferimento etici, esorta all’attenzione verso i più poveri e svantaggiati e incoraggia i comportamenti responsabili e solidali dal livello individuale a quello della comunità internazionale. I delicati negoziati sui cambiamenti climatici da anni sono incentrati su montaggi finanziari, architetture istituzionali, meccanismi di monitoraggio, trasferimento di tecnologie; e il mio auspicio, che non limito alla discussione sui cambiamenti climatici, è che governanti e negoziatori agiscano meno nell’ottica dell’interesse nazionale e più nell’interesse dell’intera famiglia umana che necessita di un pianeta vivibile gestito equamente. La resistenza di determinati Stati ad adottare impegni vincolanti, in termini di emissioni per esempio, è motivata dai loro programmi di sviluppo nazionali. Almeno uno dei cosiddetti BRICS persiste nell’uso dei gas CFC nella refrigerazione. Un secondo da sempre respinge qualsiasi controllo delle proprie emissioni. Orbene, ai Paesi in via di sviluppo non viene chiesto di partire da zero, non devono reinventare la ruota. Si può fare in modo che il controllo delle emissioni non sia un freno ai programmi di sviluppo di tali nazioni.

Oggi si assiste a una contrapposizione sempre più netta tra fonti fossili e fonti rinnovabili. Qual è la vostra posizione?

Bisogna tenere presente lo slogan “produzione e consumi sostenibili”. In questo spirito, le fonti di energia rinnovabile sono preferibili, rappresentano una direzione in cui far convergere la ricerca. Difatti, la tecnologia propone risposte ai problemi intrinseci delle fonti alternative a quelle fossili. Riguardo alla contrapposizione di cui parla: mi pare, piuttosto, che molti attori, famiglie, imprese, Governi, stiano puntando verso mix diversificati di energie. La “nostra posizione” è quella di favorire lo sviluppo di energie che siano per quanto possibile le più adatte al contesto locale: al livello e tipo di organizzazione politico-economica, alle possibilità di manutenzione, ai bisogni, alle capacità di investire e di amministrare, alla struttura della società. Bisogna evitare chiusure ideologiche e apriorismi. E anche ricordare che le rinnovabili non sono sotto il controllo umano: non abbiamo creato il sole, non provochiamo né il moto delle onde né il vento … Quindi, nei confronti delle fonti rinnovabili come di quelle fossili, serve una dose di umiltà, oltre che sobrietà.

All’interno del processo di globalizzazione, che ha profonde implicazioni su ambiente, risorse ed energia, si nota un “affaticamento” della politica di fronte alle ragioni della finanza. Come pensa la Chiesa che si possa affrontare il problema, che porta anche a una grande differenza nella distribuzione della ricchezza?

La sfida di riportare l’economia e soprattutto la finanza al servizio della persona umana è fondamentale. Occorre coraggio e determinazione per una rapida risoluzione dei problemi che lei accenna, specialmente riguardo al fatto che le ineguaglianze nella distribuzione della ricchezza così come quelle di opportunità offerte a ciascun nascituro aumentano nei singoli Paesi come a livello internazionale. Non è questo il posto, però, di sviluppare il contributo della Chiesa a queste riflessioni. L’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium offre numerose piste di riflessione, così come la notaPer una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale pubblicata dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace del 2011. Il Pontificio Consiglio ha anche realizzato nel luglio 2014 un seminario sul Bene Comune Globale e l’Economia Inclusiva, il Final statement e il Discussion paper elaborati in quell’occasione offrono anch’essi molti validi spunti. Tutti questi documenti sono rinvenibili in Internet.

Papa Francesco in che maniera, secondo lei, proseguirà il lavoro fatto dai suoi due predecessori in materia d’ambiente? E soprattutto pensa che coniugherà ancora in maniera maggiore ambiente e tematiche sociali?

Si parla molto di una prossima Enciclica alla quale, come Sua Santità ha avuto la bontà di spiegare in occasione del suo volo di rientro dalla Corea, ho partecipato assieme ai miei collaboratori. L’intento del Santo Padre è di interessarsi all’ecologia naturale e a quella umana. In questo, Papa Francesco si colloca nel lungo solco d’insegnamenti dei suoi predecessori. Nel 1972 la Conferenza di Stoccolma si interessò allo sviluppo, all’inquinamento, all’esaurimento delle risorse e alla povertà, e incaricò il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente di seguire questi temi. Prima che l’ONU si radunasse in occasione dell’importante vertice di Rio de Janeiro nel 1992, Giovanni Paolo II propose al mondo il primo esaustivo e denso contributo di un Papa sull’ambiente: il suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, dal titolo Pace con Dio creatore. Pace con tutto il creato. Scriveva: «non si otterrà il giusto equilibrio ecologico, se non saranno affrontate direttamente le forme strutturali di povertà esistenti nel mondo». Numerose Conferenze episcopali approfondirono la questione. Quella canadese, per esempio, scrisse nel 2003 che l’armonia ecologica non può esistere in un mondo dalle strutture sociali ingiuste, e che le estreme iniquità sociali del nostro mondo non potranno condurre a una sostenibilità ecologica. Nel 2004, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha pubblicato il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, il cui decimo capitolo è interamente dedicato alla tutela dell’ambiente. Il punto di partenza è che il grido della terra e quello dei poveri è uno solo. Segue il famoso insegnamento di Benedetto XVI contenuto nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010: «il libro della natura è unico, sia sul versante dell’ambiente come su quello dell’etica personale, familiare e sociale. I doveri verso l’ambiente derivano da quelli verso la persona». Questa breve escursione mostra cosa precede la preparazione dell’Enciclica di Papa Francesco sull’ecologia naturale e su quella umana, Enciclica radicata negli insegnamenti dei suoi predecessori. Un assaggio ci è stato dato in occasione del recente incontro al Parlamento Europeo, dove Papa Francesco ha esortato ripetutamente a occuparsi dell’ambiente, a essere “custodi” della natura. Ha esortato anche la Chiesa su questa strada, e ha collegato la tematica ambientale a quella della schiavitù e delle migrazioni, alla cultura dello scarto e del diritto al cibo tuttora spesso non applicato. Occorre, dunque, adoperarsi in materia di ambiente a 360 gradi. Senza dimenticare che, oltre all’ecologia ambientale, esiste anche un’ecologia umana. Le due preoccupazioni vanno di pari passo. Dobbiamo, sì, chiederci: “quale pianeta lasceremo ai nostri bambini?” ma anche: “quali bambini lasceremo al pianeta?”.

Pensa che i cambiamenti dei comportamenti siano necessari per preservare gli equilibri ambientali? Se sì, qual è la strategia adatta a ciò?

Rispondendo a questa domanda occorre tenere a mente quanto già detto nella risposta precedente, e ricordarsi lo slogan “produzione e consumi sostenibili”. È impossibile e inefficace limitare la riflessione agli equilibri ambientali. L’uomo è un essere relazionale. Si relaziona con Dio, con se stesso, con gli altri, con la natura. In ciascuna di queste relazioni è fondamentale mantenere un equilibrio. O, se è il caso, fare di tutto per ritrovarlo. Se questo equilibrio è spezzato, non si esita a deteriorare cinicamente la natura o a schiavizzare il proprio prossimo. Cambiare comportamento diventa allora fondamentale, e in questo possiamo riprendere l’appello di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI a una “conversione ecologica”. Tale è la strategia da adottare. Inoltre, non possiamo evitare la questione dell’educazione. Benedetto XVI, nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2012, insisteva proprio sul bisogno di educare i giovani: «dobbiamo educarci alla compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità, essere attivi all’interno della comunità e vigili nel destare le coscienze sulle questioni nazionali e internazionali e sull’importanza di ricercare adeguate modalità di ridistribuzione della ricchezza, di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti». Educando i giovani si punta sui genitori, professori, scienziati, diplomatici, imprenditori e governanti di domani.

Pensa che un coinvolgimento attivo delle varie religioni possa esercitare un peso nel raggiungimento di un accordo mondiale sul clima?

L’espressione “varie religioni” va considerata con prudenza, al fine di non fare di tutta l’erba un fascio. I tre grandi monoteismi indubbiamente riconoscono alla natura una particolare importanza, così come molte religioni e credenze locali, talvolta animiste. Indubbiamente, alcune religioni hanno un peso determinante in quanto possono ridestare nella persona umana, nella sua intimità, la sua vocazione originaria. Aiutano ad accorgersi che, intorno a noi, la natura ci parla instancabilmente del progetto di un Dio creatore e amante. Le persone che – specialmente grazie alla loro religiosità – vivono con questa consapevolezza si sentono responsabili della natura, responsabili di vivere in armonia con l’ambiente. Possono, quindi, dedurne quanto sia importante che i loro rappresentanti e governanti, a loro volta, si adoperino per preservare la natura. In definitiva, pare coerente ritenere che una nazione veramente permeata di religione, dagli elettori ai governanti, contribuisca in modo molto positivo al raggiungimento di un accordo mondiale sul clima oppure a trattati sull’acqua o sull’inquinamento. Un simile coinvolgimento attivo delle religioni, “dalla base”, a lungo termine, è un grande contributo che si può offrire alla comunità internazionale, affinché quest’ultima possa trovare il respiro e la motivazione sufficiente per adottare le misure e creare le istituzioni opportune. In altri contesti, vengono in mente gli sforzi collaborativi dei gruppi religiosi affinché i valori umani vengano riconosciuti “dall’alto”. C’è chi ha invocato una ONU delle religioni; gli organizzatori del World Economic Forum, poi, hanno auspicato un World Ethics Forum. Un’azione interreligiosa relativa alla sensibilizzazione riguardo ai cambiamenti climatici è attualmente contemplata da varie entità, fra le quali la World Conference of Religions for Peace e la Columbia University di New York.

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